Quelli per cui l’Ucraina appartiene alla famiglia europea, ma non c’è fretta di farla entrare nell’Ue
Olivier Dupuis e Carmelo Palma
La politica della Nato di forte sostegno politico, ampio supporto logistico e militare e moderazione strategica non è certo perfetta. È infatti sorprendente che l’organizzazione atlantica non abbia previsto, fornendo per tempo sistemi di difesa missilistica e aerea, che il clamoroso fallimento dell’operazione speciale avrebbe portato il presidente della Federazione Russa a sostituire la guerra lampo con una strategia del terrore, cioè con una “cecenizzazione” della guerra, prendendo di mira i civili e creando milioni di rifugiati, anche al fine di destabilizzare l’Europa e accrescere per essa i costi della solidarietà con l’Ucraina. La stessa strategia usata in Siria. Kiev e le altre città ucraine come Grozny o come Aleppo. Nondimeno, la tenuta dell’organizzazione atlantica e la sua compattezza hanno dimostrato l’errore della diagnosi frettolosa, secondo cui la Nato era cerebralmente morta. La Nato è viva e il suo cervello pure.
Lo stesso non si può dire dell’Unione Europea. Anche la decisione presa a Versailles nel corso del recente Consiglio europeo informale non è ancora una vera risposta alla richiesta urgente del presidente ucraino di risolvere una volta per tutte la questione dell’adesione dell’Ucraina all’Unione. Questo è un segno, se non di morte cerebrale, almeno di coma profondo dell’organizzazione europea. I lavori preparatori del vertice di Versailles avevano palesato le resistenze annidate proprio tra i Paesi fondatori. Il documento di uscita, che riconosce l’appartenenza dell’Ucraina alla famiglia europea, ma non dà tempi sul processo di questo necessario “ricongiungimento familiare”, dimostra che le strategie dilatorie nascono da un fraintendimento profondo sia delle opportunità che dei rischi che si legano a questo passaggio. L’Ucraina non è più da tempo un Paese, che si possa decidere se convenga o meno accogliere nell’Ue, perché è già diventato oggettivamente la frontiera dello scontro tra l’Ue e i disegni espansionisti della Federazione Russa. Una vittoria di Putin in Ucraina non sarebbe solo una vittoria contro il governo di Kiev, ma anche contro quelli di Berlino, Roma, Parigi e contro le istituzioni dell’Unione. Qualsiasi accordo futuro tra la Russia e l’Ucraina deve essere anche un accordo sulla sicurezza dell’Europa.
La questione dell’adesione dell’Ucraina all’Unione è per i paesi membri qualcosa di molto più centrale e “esistenziale” della risoluzione di una crisi regionale nel vicinato orientale. Insieme alla questione militare – la creazione di un quadro che assicuri la sicurezza futura dell’Ucraina, attraverso il ritiro o il congelamento della domanda di adesione dell’Ucraina alla NATO, attraverso uno status di neutralità o qualsiasi altra proposta accettata dagli ucraini – il processo di adesione costituisce una potente garanzia contro qualsiasi futuro tentativo di Mosca di destabilizzare Kiev e interferire negli affari interni dell’Ucraina e, allo stesso tempo, uno strumento per rafforzare lo stato di diritto e la democrazia in Ucraina.
Non si tratta quindi di un gesto dovuto dall’Unione al presidente Zelensky, una sorta di compensazione che il presidente ucraino potrebbe offrire al suo popolo per i sacrifici fatti e gli affronti patiti. Domani non avrà bisogno di essere perdonato di nulla. Oggi incarna la volontà di resistenza e di libertà di tutto il suo popolo e guida, insieme al suo governo e al suo esercito, questa resistenza.
Tre volte negli ultimi due decenni – nel 2004 con la Rivoluzione Arancione, nel 2014 con la Rivoluzione della Dignità e ora nella resistenza contro l’aggressione russa – il popolo ucraino ha mostrato al mondo e all’Europa addormentata un’indomabile volontà di libertà e un’immensa aspirazione alla democrazia e allo stato di diritto. È nell’interesse strategico dell’Unione toglierla dal no man’s land geopolitico in cui è stata confinata finora e integrarla nel concerto delle democrazie europee.
Sarebbe anche una manifestazione tangibile della volontà dell’Europa di iniziare risolutamente un processo di sradicamento della potente quinta colonna europea al servizio del Cremlino. Impregnato dall’ideologia revanscista, sciovinista e fondamentalmente violenta del presidente della Federazione Russa, il putinismo da esportazione ha fatto proseliti in ampi settori dell’opinione pubblica e in parti molto importanti delle classi dirigenti europee: politiche, militari, accademiche e mediatiche.
Queste forze considerevoli sono ancora all’opera. Stanno lavorando oggi per silurare l’apertura del processo di adesione dell’Ucraina all’Unione. Il loro obiettivo: riprendere il più presto possibile il business as usual con Mosca. Ora hanno il loro alfiere nella persona di Mark Rutte, il primo ministro olandese. In una completa rottura con lo spirito e la lettera del consenso raggiunto al vertice di Versailles, ha dichiarato alla fine del vertice che la valutazione della Commissione avrebbe richiesto tempo: mesi, forse anni, prima di ottenere qualcosa.
In tempo di pace questa dichiarazione sarebbe una grave violazione delle regole formali e informali con cui opera l’Unione. In tempi di guerra, come quelli attuali, non è altro che un sabotaggio. Un atteggiamento assai sorprendente da parte di un capo di governo che ancora recentemente si era espresso a favore dell’abolizione della regola dell’unanimità in materia di politica estera. Meno sorprendente quando si conosce la capacità dilatoria del personaggio. Era già primo ministro quando il suo paese ha organizzato un grottesco referendum sull’accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione, facendo perdere due anni all’Ucraina e agli altri stati membri dell’Unione.
L’accordo di Versailles prevede la concessione dello status di paese candidato all’Ucraina come prerequisito per l’apertura formale dei negoziati di adesione. Spetta quindi alle istituzioni interessate prendere i necessari provvedimenti: la Commissione il parere nei prossimi giorni e il Consiglio dei ministri la sua decisione nella prossima riunione del 21 marzo. Qualunque ritardo rappresenterebbe un messaggio di disimpegno chiarissimo sia agli occhi di Kiev, che di Mosca.
Per quanto riguarda la corsia preferenziale, menzionata più volte dal presidente Zelensky e che sembra essere di grande preoccupazione per Mark Rutte, non è destinata a creare un regime preferenziale per l’Ucraina. Significa semplicemente rendere l’adesione dell’Ucraina una priorità politica dell’Unione.
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